Archivio per 18 novembre 2010

 Isole della Nuova Siberia 75° N – Nell’artico Russo

Le isole della Nuova Siberia sono un arcipelago situato nell’artico russo tra il Mare di Laptev ad ovest ed il Mare della Siberia Orientale ad est, alcune centinaia di chilometri al largo della costa jakuta. Coprono un’area di circa 29.000 km2, sono disabitate e coperte dai ghiacci per la maggior parte dell’anno. L’isola maggiore è Kotelnyj, con un’estensione di circa 11.700 km2; più a nordest si trovano le isole di De Long mentre verso sud si incontra il gruppo delle Ljakhovskij; a quest’ultimo appartiene l’Isola Stolbovoj, la più occidentale dell’intero arcipelago. Le isole sono state esplorate, tra il 1800 e il 1812, da Jakov Sannikov.

Kotelnyj è un’isola dell’arcipelago della Nuova Siberia, tra il mare di Laptev e quello della Siberia Orientale. Politicamente, fa parte della repubblica autonoma di Sacha-Jakuzia, in Russia. È formata da tre zone che in passato sono state considerate separatamente: l’isola Kotelnyj propriamente detta, di circa 11.700 km², la Terra di Bunge (Земля Бунге), di 6.200 km², e l’isola Faddeevskij di 5.300 km². In totale, la sua superficie è di 23.165 km²: si tratta della 47ª isola più grande del mondo. Nell’isola scorrono 130 fiumi con una lunghezza superiore ai 10 km, il maggiore dei quali è il Balyktach (205 km).

Nel 1805 Jakov Sannikov ne tracciò una mappa dopo averla esplorata. Sannikov riteneva che, oltre l’isola Kotelnyj, ci fosse una vasta terra inesplorata. Quest’isola o arcipelago ipotizzato fu riconosciuto come Terra di Sannikov, e infine si rivelò esistente. Uno stretto tra le isole di Piccola Ljachovskij e di Kotelnyj porta il nome di Sannikov. L’isola ha un clima polare, contraddistinto da inverni estremamente freddi che si prolungano per quasi tutto l’anno (la temperatura media è di -30 °C in gennaio e febbraio) ed estati brevissime e fredde (media termica di 2 °C in luglio), con 130-150 mm annui di precipitazioni quasi tutte in forma nevosa.

L’Isola Stolbovoj fa parte dell’arcipelago della Nuova Siberia, situato nell’Oceano Artico a nord della costa orientale della Siberia, tra il Mare di Laptev e il Mare della Siberia Orientale. Da un punto di vista amministrativo appartiene alla repubblica di Sacha-Jakuzia (Russia). L’isola è la più occidentale del sottogruppo delle Ljakhovskij, situato nella zona sud dell’arcipelago principale. La sua superficie è di 240 km² ed il punto culminante si situa a 222 m s.l.m.. È composta essenzialmente da rocce granitiche. Stolbovoj è stata scoperta nell’anno 1800 dal navigatore russo Jakov Sannikov.

GELOCIDIO e GALAVERNA

Pubblicato: 18 novembre 2010 in Meteorologia

Il Gelicidio 

Il gelicidio è un fenomeno provocato dalla pioggia o dalla pioviggine che cadono, a causa del fenomeno della sopraffusione, in forma liquida con una temperatura dell’aria inferiore a 0 °C. Il fenomeno accade quando a livello del suolo è presente uno strato di aria fredda, con temperatura inferiore a 0 °C, mentre sopra c’è uno strato d’aria più calda che consente la fusione della neve che cade dalle nubi (il gelicidio non si forma quasi mai da nubi calde, cioè da nubi da cui cade acqua allo stato liquido). Quando le gocce vengono a contatto con una superficie congelano all’istante, formano uno strato di ghiaccio trasparente, omogeneo, liscio e molto scivoloso, racchiudendo i rami degli alberi, gli arbusti, gli steli dell’erba, i cavi elettrici all’interno di un involucro assai duro di acqua cristallizzata e trasparente. Sebbene con gelicidio si possa intendere l’intero processo, è uso comune in meteorologia chiamare con questo nome soprattutto il deposito di ghiaccio che si forma sugli oggetti.

È molto frequente in Europa centro settentrionale ma anche nella Pianura padana e nelle pianure e conche interne delle regioni centrali (soprattutto sul versante adriatico), nel periodo tra la fine di dicembre e i primi giorni di gennaio. Nelle zone dell’Appennino tosco-emiliano (in particolare a Lucca, a Pistoia ed a Modena) il gelicidio si chiama bruscello o brucello. L’etimologia più probabile è da broccia, “pioggerella gelata”, da un tema mediterraneo calabro-/galabro-, “concrezione calcarea o ghiacciata”. Nel Mugello il bruscello viene chiamato anche vetriore.

Il gelicidio, a causa del peso del ghiaccio, è tuttavia causa di numerosi disservizi dato che può provocare la caduta di rami anche di grande spessore nonché la rottura di cavi elettrici, con conseguente interruzione dell’illuminazione pubblica, problemi alle comunicazioni telefoniche e alla circolazione per il fondo stradale scivoloso. Nei casi più gravi (le cosiddette tempeste di ghiaccio, in inglese ice storms) alberi interi possono cadere, recando danni gravissimi ai boschi, e la circolazione stradale risulta impossibile; talvolta si possono trovare addirittura rami di alberi incollati al fondo stradale ghiacciato. Fortunatamente il fenomeno è spesso seguito da un aumento della temperatura con conseguente disgelo, in quanto la pioggia cade da strati d’aria più caldi del suolo che quindi tendono a riscaldarlo progressivamente.

Il gelicidio non deve esser confuso con la brina che si deposita lentamente per condensazione sulle superfici esterne quando, in assenza di ventilazione e con umidità relativa dell’aria molto elevata, perdono calore di notte fino a raggiungere 0 °C, e neppure con la gelata che avviene quando sia la temperatura degli oggetti che dell’aria è inferiore a 0 °C. Non dovrebbe essere confusa con il gelicidio neppure la galaverna che si verifica, con temperature inferiori a 0 °C quando minuscole goccioline di acqua esistenti nell’aria si solidificano intorno al suolo o sulla vegetazione formando un rivestimento che è però opaco (per la presenza di aria), biancastro ed assai fragile. Nel gelicidio invece l’involucro di ghiaccio cristallizzato è perfettamente trasparente, perché non contiene aria. In presenza di vento forte, il rivestimento intorno alle superfici segue la direzione del vento, cosicché si formano talora, specialmente intorno ai tralicci di metallo ed ai fusti delle piante, delle specie di lame di ghiaccio biancastre, irregolari e dentellate, larghe anche 20 centimetri e più; il fenomeno si chiama calabrosa.

La Galaverna

La galaverna è un deposito di ghiaccio in forma di aghi e scaglie che può prodursi quando la temperatura è inferiore a 0 °C e c’è la presenza di una leggera nebbia. La galaverna è costituita da un rivestimento cristallino, opaco e bianco intorno alle superfici solide; di solito non è molto duro e può essere facilmente scosso via. Essa si forma perché le goccioline d’acqua in sospensione nell’atmosfera possono rimanere liquide anche sotto zero (stato di sopraffusione). Questo stato è instabile e non appena le gocce toccano una superficie solida come il suolo o la vegetazione si trasformano in galaverna: si tratta quindi di solidificazione, ovvero passaggio dallo stato liquido a quello solido.

La galaverna richiede piccole dimensioni delle gocce di nebbia, temperatura bassa, ventilazione scarsa o nulla, accrescimento lento e dissipazione veloce del calore latente di fusione. Quando questi parametri cambiano si hanno altre formazioni, come per esempio la calabrosa, che si forma quando le gocce di nebbia sono più grosse e il vento è più forte. La galaverna si distingue dalla brina perché questa non è coinvolta dal processo di sopraffusione delle gocce d’acqua e si forma per il brinamento del vapore sulle superfici raffreddate a causa della perdita di calore per irraggiamento durante la notte. Le formazioni di ghiaccio, simili alla galaverna, che si producono in assenza di nebbia con temperature molto basse e un’alta umidità relativa dell’aria superiore al 90% sono più propriamente chiamate gelata, dato il differente processo di formazione.

Ciro Chistoni descrisse un fenomeno assimilabile alla galaverna, che egli definì forte brinata invernale. Il fenomeno avviene con cielo inizialmente limpido e con formazione di brina sugli oggetti. Scendendo la temperatura, l’aria raggiunge il punto di saturazione di vapore acqueo e, per la presenza di nuclei di condensazione, si forma una nebbia bassa. In questa situazione avviene la solidificazione delle goccioline d’acqua nella nebbia con formazioni aghiformi di ghiaccio amorfo o cristallino che si sovrappongono alla brina. Il fenomeno sarebbe più frequente in autunno avanzato e più raramente in inverno, in particolar modo su oggetti compresi tra il suolo e quattro-sei metri d’altezza. Data la confusione allora presente tra fenomeni di brinamento e solidificazione della nebbia, è probabile che lo scienziato si riferisse a quella che oggi è la galaverna in senso proprio.